Sentimenti e sintomi da tenere a cuore di Cecilia Gabrielli* In medicina omeopatica, metodo di cura basato su principi scientifici e corroborato dalla sperimentazione pura, consideriamo l’essere umano nella sua integrità e ne raccogliamo i sintomi come fossero un messaggio che la nostra energia vitale ci invia per raccontarci di sé. Proviamo a immaginare i sintomi come la lettera di un amico lontano che non possiamo vedere: a noi destinatari, non resterà che leggerla. La missiva può trasformarsi in un concerto da ascoltare quando in comunicazione si pone un organo potente come il cuore, autore di una melodia che con le sue note esegue sentimenti e articola sensazioni, in una musica che può dirci molto di noi. Al cuore attribuiamo da sempre vita ed emozioni, ma le antiche civiltà ne avevano considerazione persino maggiore, lasciandone traccia in un sapere che purtroppo è in parte anche disperso. Al centro dell’albero dei chakra, crocevia tra testa e pancia, il cuore intreccia il principio elettrico e il principio magnetico nel nostro organismo, fertilizza le idee con le emozioni, abbraccia la ragione con i sentimenti. Gli studi degli ultimi venti anni hanno dimostrato che questo piccolo organo genera un campo elettrico cento volte più potente di quello creato dal cervello, mentre il campo magnetico cardiaco è ben cinquemila volte superiore a quello cerebrale centrale. Gli scienziati oggi indagano gli effetti di questo campo energetico sulla realtà circostante, sulla vita intorno a noi, sulle persone che abbracciamo per esempio, ma anche solo semplicemente su quelle che incontriamo o su come ci condizioniamo per il mero fatto di coesistere sullo stesso pianeta. Questi stessi anni hanno segnato, altresì, la scoperta di inaspettate capacità del Sistema Nervoso Intracardiaco (InCS). Collocato negli strati superficiali delle pareti del cuore, lo si pensava già all’alba di questo millennio una rete essenziale per la sopravvivenza, in grado di mantenere l’omeostasi cardiovascolare e adeguare la resa cardiaca al bisogno di perfusione di ogni tessuto, ma pur sempre come una struttura parasimpatica puramente postgangliare, deputata alla trasmissione delle informazioni del sistema nervoso centrale. Oggi, un quarto di secolo dopo, sappiamo di una sua ben maggiore complessità, tale da indurre gli scienziati a chiamarlo «il piccolo cervello». L’InCS comprende neuroni simpatici, parasimpatici, sensoriali, regolatori periferici e motori, che non solo sono in grado di diventare i protagonisti in assenza di un input centrale, ma interagiscono costantemente con esso, con il sistema nervoso extracardiaco, con il sistema immunitario, con le cellule endoteliali e con le cellule di Schwann. Il «cervello del cuore» è pertanto in grado di generare e inviare segnali di neurotrasmissione a tutto il nostro corpo e ha delle potenzialità sorprendenti. «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» scriveva Blaise Pascal (pensiero 277), ma quattro secoli dopo, possiamo affermare che la ragione ha cominciato a conoscerle. E il mese che celebra i sentimenti e il cuore può essere per noi l’occasione per imparare a riconoscerle. Gli studi dell’ultimo ventennio apportano un sapere che ci insegna che ciò che il cuore «sente» è capace di riverberarsi in tutto il nostro corpo, che il suo sistema nervoso è in grado di influenzare quello centrale e ripercuotersi su diverse funzioni fisiologiche e patologiche. Questo è un motivo in più per scegliere di metterci in ascolto del cuore e di noi stessi, che è il primo passo per avvicinarsi alla comprensione dell’Omeopatia e alla scelta di vita salutare che l’affianca. In assenza di patologie organiche o funzionali, può accadere che il nostro cuore acceleri in apparenza «senza ragione» alcuna, ma oggi la scienza ci spiega che il cuore «ha sempre le sue ragioni» e non possiamo non sentirci chiamati a riconoscerle. Forse quel battito è un modo per ricordarci che stiamo trascurando qualcosa o che sopportiamo un ritmo di vita che non si addice a noi o forse che abbiamo rinunciato a ciò che era importante e questo ci fa soffrire anche se non vogliamo ammetterlo o non possiamo farlo.
È proprio partendo dal superamento della frattura percettiva che accompagna la nostra vita di ogni giorno, che possiamo restare in ascolto di sentimenti e sintomi: distinguere lo stare bene e il sentirsi bene, significa recuperare l’integrità. Molti di noi restano inscatolati in una definizione di malattia in cui si sono sentiti collocare e lì sono rimasti imprigionati. Ci ritroviamo separati da noi stessi e dal nostro corpo, al punto che non sappiamo raccontare quello che percepiamo e ci limitiamo a snocciolare la lista dei sintomi che caratterizzano la patologia in cui siamo stati iscritti, ricorrendo a parole che sono completamente disconnesse dal nostro sentire profondo. Eppure le parole e le persone non possono stare dentro una casella, perché ognuno di noi è unico e irripetibile anche quando si ammala. L’attenzione che dedichiamo a noi stessi è la prima fonte di energia vitale e nessuno dovrebbe scomparire in una diagnosi, per questo resta a noi la scelta di ricomporre la confusione che abita la separazione fra sentire e parlare, fra cuore e mente, riconducendo sentimenti e sintomi a una nuova sincronia che ci restituisca l’integrità del nostro essere. L’invito alla consapevolezza parte dal superamento della regola e della classificazione, per volgere la nostra attenzione all’ascolto, tentando di non reprimere i sentimenti e imparando a non sopprimere i sintomi, con lo scopo di trasformarli in segnali alleati, capaci di indicarci la strada per tornare a «sentirci» bene.
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